martedì 25 agosto 2015

Passaggi nell'Indocina - parte settima - Nei corridoi al buio tra le celle

I tuoi passi rimbombano lungo i corridoi.
Sei stranamente solo.
La tua traiettoria è retta.
Intorno a te solo pareti e porte di legno, ogni tanto una luce sfonda una porta aperta.
Ti guardi intorno.
Scruti velocemente passando in rassegna lestanze, quasi contandole.
A volte entri, controlli se qualcuno ha lasciato segni per scampare alla paranoia.
Quasi morboso.
Ed ad un tratto ti senti orribile come un aguzzino.
Raccogli il passo e la mente e cerchi di andare avanti.
Quell'assordante silenzio cerchi di lasciarlo alla spalle.
Sei a Toul Sleng.
Phnom Penh.
Cambogia.
Il carcere principale di Pol Pot e dei Khmer rossi.

Procedi lento in una specie di parco.
Hai da poco visto quell'albero degli innocenti.
Prosegui con lo stomaco legato e le lacrime che cercano di farsi strada ma non possono.
Cali lo sguardo e ti accorgi di vedere brandelli di vestiti, di ossa.
È realizzi che tutto è reale, tangibile.
Sei a Choeung Ek.
Campo di concentramento dei quei bastardi.

Questo post serve a rendere l'idea di cosa può essere visitare posti come questi, poco battuti da chi come me sapeva troppo poco delle tragedie che accadono in questa parte del mondo.
Puoi immaginare tante cose, sentendo un non suono di questi luoghi o vedendo tutti quei testi.
Anche qui come con le mine e le bombe inesplose, la terra nasconde ancora tanti dolori. La dove molti la lavorano per sostentarsi.
Rischiando la vita e la propria di dignità.
La tua domanda è banale: perché?
Da visitatore ne esco provato e pieno di domande.
Le parole però non escono.
Le poche che raccoglie le vuoi regalare come testimonianza.
Per ricordare.
Per non ripetere.
Solo per dirvi che sono reali.
Purtroppo

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