mercoledì 24 maggio 2017

Non può piovere per sempre a New York City - Giorno 2

Stasera a cena, ho faticato a mantenere l'attenzione sulla conversazione.
Erano solo le sei del pomeriggio ma sembrava come se fosse appena trascorsa una giornata di 20 ore.
Una giornata piena di saliscendi ansiolitici sul lavoro futuro da fare e su come organizzarlo.
Tutto questo per spiegare lo stato psicofisico in cui versavo mentre mi astraevo dell'ennesimo discorso organizzativo intrapreso di cui non avevo capito nulla.
Ora, avete presente quando ti poggi sullo schienale e cominci a guardarti intorno, immergendoti in una simil-bolla spazio temporale?
Badate che non è sempre possibile farlo.
Servono incapacità di focalizzarsi su un discorso facilitato dall'uso di una lingua non tua e argomenti di cui sai di non poter essere alcun modo partecipe.
Non necessariamente una cattiva compagnia ma sufficientemente distante.
Arrivare a questo stato ti permette molte cose oltre a desiderare un letto per farti una dormita.
A me capita di realizzare propriamente dove mi trovo e posizionarmi in esso.
Detto così sembra essere molto da sega mentale ma nella pratica non lo è.
Sono a cena in un ristorante americano. Grossi finestroni, macchine che sfrecciano sul fondo, cameriera dedicata al tavolo, distanza opportuna tra i commensali, poche urla e un rumore di fondo non disturbante. Ogni sera qualcuno festeggia il proprio compleanno con un piccolo dolce e annessa candelina. Puó capitare che i camerieri cantino gli auguri in cori. Molta gente sola cena vicino a te.
Molto probabilmente il cibo che stai mangiando non è specifico o tipici di quella zona. Tutto è cordiale. Ognuno ha il suo posto nel contesto.
Come oggi nelle riunioni. Quello che in qualche modo sfugge nel grande disegno, credo, è la variabile impazzita che fa a capo al concetto di onda travolgente del caos.
E la cosa a me era divenuta evidente confrontando la mia reazione alla lettura delle email provenienti dall'Italia e alla modalità di approccio alle problematiche globali di cui si discuteva.
Senza la necessità di esprimere un giudizio in merito, mi rimane una strana sensazione addosso, riconducibile ad una sola considerazione: dove si nascondono le variabili impazzite? dov'è il caos? Quale è il suo reale potere sul nostro comportamento? Come mi relaziono io che provengo da una cultura spesso molto differente?
Avere questo tipo di momenti in un viaggio, una sorta di lucidità contemplativa,  credo sia un qualcosa che vada valorizzato per permettere di collocarsi nel mondo opportunamente e coscientemente.
Non ho mai creduto che puntare il dito ed ergersi a giudice aiuti qualcuno, soprattutto se in ultima analisi si può essere nella direzione indicata dal dito stesso.

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